domenica 15 aprile 2012

NECESSITÀ

Il centro della mia ricerca adesso è il ritrovamento della spontaneità.
Si associa in modo assolutamente arbitrario ai bambini la spontaneità. Non è esattamente così.
Non lo è perchè chiamati al compito si dimostrano estremamente non-spontanei, a-spontanei direi.
Perdono completamente ogni minima pulsione naturale non appena si chiede loro di fare una qualsiasi cosa.
Ho provato a chiedere ad alcuni bambini "giocate". Ovviamente non sono riusciti. 
Non sono riusciti perchè il contesto era un contesto chiuso e specifico.
A quel punto il loro mondo interno non ha avuto le condizioni di funzionare.
Altre volte ho assistito a momenti di folle spontaneità esibita senza pudore a due passi da me. 
Non avendo esplicitato però il mio desiderio di "vedere", tutto ha funzionato a meraviglia.
Direi che i piccoli soffrono di affettazione almeno quanto gli adulti. Forse di più. 
C'è il maledetto ateggiamento di ritenere necessario il rifugio in uno stereotipo espressivo.
Questo vale fortissimamente per i bambini, che, al momento dell'attenzione catapultata su loro, si vedono stretti in una necessità performativa che li porta ad inscriversi immediatamente in un modello riconosciuto. Un modello che li rassicura.
Paradossalmente, avendo meno modelli di riferimento, risultano più stereotipati di quanto possa esserlo un adulto (che almeno si rifà ad un numero di canoni maggiore).

Sto riflettendo sulla strada da percorrere affinchè i bambini vengano condotti a cercare una emozione in se stessi, anzi, nell'emozione stessa, senza sentire l'esigenza dell'immedesimazione (che non è mai un entrare dentro l'emozione, ma è sempre il tentativo, dettato dalla  paura,
di riprodurre una fiacca immagine di quell' emozione).

Sicuramente il lavoro sul corpo potrebbe agevolare questa ricerca. Il bambino deve per prima cosa sentire il corpo. Deve imparare a definire il contesto nel quale si muove. Riflettere sul suo movimento. Solo in questo modo potrà staccarsi dagli automatismi.
Dovrebbe sentire il corpo allo stesso modo di quando gioca. Il momento del gioco è l'apice della sua spontaneità, ma è una spettacolarizzazione inconsapevole del suo mondo emotivo. Non rendendosi conto di essere 

Sembra asurdo ma la forte consapevolezza del proprio corpo porta ad un allontanamento dal tentativo immedesimativo e, di conseguenza, ad una astrazione dal reale. Il corpo diventa talmente reale da funzionare come meccanismo a se stante.
Solo quando il corpo e la voce bel bambino diventano oggetti meccanici possono iniziare a cercare una emozione. Diventano appunto giocattoli manovrati da una coscienza esterna.
E' il bambino che gioca con il suo stesso corpo, con la sua stessa voce.
Questo procedimento va poi esteso alla percezione extracorporea. All'oggetto.
Ma questo è un passo successivo.

domenica 27 febbraio 2011

IDONEO

Karl Hartwig Kaltner

Definire artisti questa schiera informe di sciacalli dell'emozione è da matti.
Sarebbe già troppo chiamarli creativi.
Creativo. Che parola del cazzo. 

Come se la creazione fosse un simpatico impiego.
Queste persone non dovrebbero nemmeno pronunciarla la parola ARTE.
Ché tutti cercano di sminuirla, di ridurla ad un sistema di scambio. L'arte ha una funzione. E' come la fede o, meglio, come la sacralità. Non puoi cambiargli la funzione, non puoi storicizzarla. Non puoi dire: l'arte di un tempo, l'arte di oggi. Cambiano le forme, cambiano i contesti ma non può cambiare la funzione. Non può cambiare l'essenza.
Associare l'arte agli artistucoli che oggi beccano come le galline nelle gallerie elemosinando senza alcuna dignità una qualsiasi possibilita, è come associare il sacro alla chiesa.
Come la chiesa, questa congrega dell'arte decide cosa è giusto, chi va in paradiso, quindi chi è buono o cattivo.
I buoni frequentatori hanno ritorno sociale, i cattivi invece sono scacciati...
E' la stessa cosa, le gallerie sono le moderne parrocchie, i musei sono le cattedrali, i preti i vescovi e i cardinali sono i vari galleristi, curatori, professori d'accademia...
Che tristezza.
In natura se una cosa cambia la sua funzione scompare. Se si modifica lo fa solo per riuscire ad assolvere ancora quella funzione originaria...
L'arte è creazione. L'arte modifica e conosce (svela) il mondo. Lo migliora o lo smaschera (migliorandolo). L'artista è colui che accede a pezzi linguaggio ancora (fino a quel momento) indecifrati, colui che si abbassa sotto l'umano. E chi vuole farci credere altro è solo un impostore.

mercoledì 16 febbraio 2011

DENTRO

 
Il centro della mia ricerca adesso è il ritrovamento della spontaneità.
Si associa in modo assolutamente arbitrario ai bambini la spontaneità. Non è esattamente così.
Non lo è perchè chiamati al compito si dimostrano estremamente non-spontanei, a-spontanei direi.
Perdono completamente ogni minima pulsione naturale non appena si chiede loro di fare una qualsiasi cosa.
Ho provato a chiedere ad alcuni bambini "giocate". Ovviamente non sono riusciti.
Non sono riusciti perchè il contesto era un contesto chiuso e specifico.
A quel punto il loro mondo interno non ha avuto le condizioni di funzionare.
Altre volte ho assistito a momenti di folle spontaneità esibita senza pudore a due passi da me.
Non avendo esplicitato però il mio desiderio di "vedere", tutto ha funzionato a meraviglia.
Direi che i piccoli soffrono di affettazione almeno quanto gli adulti. Forse di più.
C'è il maledetto ateggiamento di ritenere necessario il rifugio in uno stereotipo espressivo.
Questo vale fortissimamente per i bambini, che, al momento dell'attenzione catapultata su loro, si vedono stretti in una necessità performativa che li porta ad inscriversi immediatamente in un modello riconosciuto. Un modello che li rassicura.
Paradossalmente, avendo meno modelli di riferimento, risultano più stereotipati di quanto possa esserlo un adulto (che almeno si rifà ad un numero di canoni maggiore).

Sto riflettendo sulla strada da percorrere affinchè i bambini vengano condotti a cercare una emozione in se stessi, anzi, nell'emozione stessa, senza sentire l'esigenza dell'immedesimazione (che non è mai un entrare dentro l'emozione, ma è sempre il tentativo, dettato dalla paura,
di riprodurre una fiacca immagine di quell' emozione).

Sicuramente il lavoro sul corpo potrebbe agevolare questa ricerca. Il bambino deve per prima cosa sentire il corpo. Deve imparare a definire il contesto nel quale si muove. Riflettere sul suo movimento. Solo in questo modo potrà staccarsi dagli automatismi.
Dovrebbe sentire il corpo allo stesso modo di quando gioca. Il momento del gioco è l'apice della sua spontaneità, ma è una spettacolarizzazione inconsapevole del suo mondo emotivo. Non rendendosi conto di essere

Sembra asurdo ma la forte consapevolezza del proprio corpo porta ad un allontanamento dal tentativo immedesimativo e, di conseguenza, ad una astrazione dal reale. Il corpo diventa talmente reale da funzionare come meccanismo a se stante.
Solo quando il corpo e la voce bel bambino diventano oggetti meccanici possono iniziare a cercare una emozione. Diventano appunto giocattoli manovrati da una coscienza esterna.
E' il bambino che gioca con il suo stesso corpo, con la sua stessa voce.
Questo procedimento va poi esteso alla percezione extracorporea. All'oggetto.
Ma questo è un passo successivo.

giovedì 11 novembre 2010

SOSPESO

    foto Marianna Venticinque

OKAMOTONORIAKI è speciale. Tutto il discorso nipponico contemporaneo si esprime in un'atmosfera particolarmente intima e famigliare, allo stesso tempo fredda e calda, lontana e stringente.
Un'atmosfera che ritrovo nei libri (alcuni) di Murakami ed in tanto cinema (quello non violento) che arriva dal Giappone.
Questa intimità mi piace, mi fa affondare in un liquido caldo ed allo stesso tempo mi mette sull'attenti. Una sensazione davvero forte.

sabato 4 settembre 2010

NO, NON ORA, NON QUI





E' da tempo che volevo vedere l'opera di una giovane artista milanese (o che bazzica da queste parti, comunque). Si Chiama T. Per essere precisi T.F. Mi avevano incuriosito le sue cose che girano in Facebook. Fotografie di disegni, istallazioni, oggetti. Ero incuriosito perché, a dispetto delle migliaia di inutilità che vedo ogni giorno, le sue cose mi apparivano delicate, candide. Certo, c'erano dei riferimenti troppo forti e potenti a cose che avevo già visto e questo mi indispettiva. Quando fai una citazione "colta" e citi, ad esempio, Picasso, il gioco è facile. In un certo senso ci vuole anche coraggio. Tu, essere piccolo, ti permetti di (seppur) accennare un discorsetto su un grande autore. Questo coraggio può far piacere. Se arrivi a dire una cosa intelligente fa di te un eroe, un piccolo eroe semmai ma degno di rispetto.
Quando invece le tue citazioni (che spesso sembrano quasi delle appropriazioni) ricadono su autori minorissimi (per il grande pubblico ed il mercato, non di certo per la loro grandezza espressiva), allora il gioco diventa quasi sporco (all'occhio di chi guarda e sa).
Ecco, mi aveva infastidito l'eccessivo avvicinarsi a certa animazione anglosassone (acquisita) che a sua volta nasceva da un amore appassionato per gli animatori dell'est-Europa (non solo Svankmajer). Lo svelo chiaramente, il riferimento ai mondi partoriti dalle menti contorte dei Quay Brothers è troppo netto.
Nelle visioni di T. si vedono ben chiari percorsi altrui, mondi altrui, sogni catturati e non sognati.
Questo, mi son'detto, non deve certo appiattirmi. Alla fine di un artista mi interessa non certo l'originalità (non posso ora spiegarmi, ci vuole, come minimo, un intero articolo), bensì la potenza espressiva. La capacità di tradurre in materia, visiva soprattutto, una visione, una emozione, un concetto. La capacità di creare "da capo" a partire da sé (e magari per farlo sprofondare).
Mi sono dunque raggioito nel sapere che T.F. esponeva in una galleria milanese e, armato di buona volontà e di uno stato d'animo positivo sono andato.
Dico subito, per non trasformare questo scritto in una specie di giallo, che quello che ho visto non mi ha emozionato. La mia visita non è stata però una perdita di tempo. Mi è servita a dare un perché a quella intuizione iniziale avuta dalla visione riprodotta del lavoro.

La giovane artista ha sviluppato durante i suoi studi una buon gusto estetico. Ha dei gusti ottimi in campo artistico ed i suoi percorsi, in quanto spettatrice, sono molto affascinanti ed inconsueti (fuori dai canoni più che altro).
Il problema è che non è capace di una sintesi personale, una sintesi emotiva. T. si emoziona di fronte a quello che vede e che adora, capisce profondamente quello che sente, lo assorbe voracemente e meglio di altri sa lasciare penetrarsi dalla sensazione che l'opera emana. Il suo problema è la rielaborazione (e non è un problema da poco). Sembra che le sue opere non nascano da un percorso interiore personale bensì da una fredda pianificazione di un mondo che, seppur sentito in modo nitido al suo interno (ricordiamoci che non le apparteneva) non riesce a figurare.
Probabilmente il difetto sta proprio nella difficoltà a nascere da se stessa.
Questo produce delle opere che, apparentemente giungono delicate e sfuggenti, misteriose, imprendibili ma a veder bene sono difettose. Si vede dietro un cantiere che non è stato ben nascosto che non è stato sufficientemente ripulito. E non accetto tesi sulla bellezza del cantiere, perché quello che intendo io è il cantiere di una razionalità che non sa liberarsi di se stessa.
Sono rimasto atterrito difronte all'opera che da il nome alla esposizione personale. Una scala a "chiocciola" completamente ricoperta di chiocciole e tutta dipinta di bianco.
Ora provo a ripercorrere il processo creativo in due passaggi semplici.

Chiudo gli occhi e penso: una scala a chiocciola che non va da nessuna parte, una infinità di chiocciole che la ricoprono, come ad impedire il passaggio...il tutto di un bianco candido. Wow.

L'immagine è paradisiaca. Andiamo alla realizzazione. Mi procuro una scala a chiocciola, la prima che trovo probabilmente, mi procuro dei gusci di chiocciola di dimensione comunque molto grande, mi metto con pazienza e ricopro tutto di bianco.

E' il prodotto di una sensibilità solo pensata. Mi avvicino e vedo la verniciatura grossolana, vedo i gesti quotidiani di un'artista che sta faticando a ricoprire tutto e che semmai intanto si beve un'aranciata. Le chiocciole sono morte, sono solo gusci, non hanno odore. Mi fanno pensare alle retìne vendute nei chioschetti per turisti al mare, piene di conchiglie sterilizzate e asettiche. Penso che T. abbia preso quei gusci in un posto simile. Che se li sia fatti spedire, semmai acquistandoli in internet. Sono talmente asettiche e povere che mi viene da piangere. Dove sta la vita? Dove sta il movimento? Quelle chiocciole avrebbero dovuto puzzare, mi aspettavo che gocciolassero bava, che impedissero la mia ascesa facendomi paura, fermandomi il cuore. Non sono certo gusci vuoti, secchi e maldipinti che possono darmi un qualsiasi senso.
Invece è tutto artificio, nascosto. Nemmeno mostrato, quello l'avrei capito meglio. Invece quel nascondersi.
Insopportabile.

venerdì 3 settembre 2010

UNO, NESSUNO. NESSUNO.



Capolavoro assoluto. Per me. Non mi piace il discorso che Luca (ciao Luca, piacere, Luca) fa sulla voce off. Soprattutto sentenziando in base al "genere". Non cascherei in questi tecnicismi [soprattutto perchè, semmai, i Coen si divertono a ...scherzarci con i gener(alism)i].
Capolavoro è per la scelta di ogni singolo attore, ogni singolo personaggio, ogni singolo passaggio. Il solo silenzio del barbiere è di una bellezza accecante. Riguardo all'intellettualismo dei Coen: anche io odio gli intellettuali e gli intellettualismi ma, nei Coen avviene un miracolo (che avviene molto meno spesso in Allen), il miracolo della mistura perfetta tra sensibilità (sensazione) e ragionamento.
Questo proprio ne fa ulteriormente un capolavoro.
Il solo personaggio dell'avvocato è irraggiungibile.
Scarlett è favolosa, restituisce un mix di semplicità e puttanimma difficilmente raggiungibile.
Per non parlare dell'enorme spostamento semantico che fa ruotare tutto il film su se stesso (io direi, mettendolo a 90 gradi, passatemi la volgarità geometrico-pornografica).
Il mondo perfetto (del soggetto-barbiere) che non "diventa" ma "è", ed "è sempre stato" un ammasso di merda...
E soltanto lui non se ne era accorto...(perchè, appunto, non c'era)...

PS.
La voce off, in questo caso è essenziale, fondamentale. Cosa ti saresti inventato tu? Come avresti dato voce al silenzio violento del barbiere? Come avresti esternato i suoi ragionamenti?
Non sarebbero riusciti i Coen con la sola immagine in quanto il gioco si regge su un processo (para e meta)-razionale. E' la moderna riproposizione dell'Uno-nessuno-centomila in chiave ancora più intima e senza la partecipazione diretta del prossimo...
Capisco i tuoi dubbi, li capisco davvero (anche io adoro il cinema di pancia, anche io do priorità massima all'immagine)...
Ma in questo caso io non vedo altre strade.
Ho visto l'ultimo lavoro dei Coen. Un pugno micidiale al petto, una violenza ed una rassegnazione così forti non li provavo dai tempi di un Egoyan in splendida forma.
E come sono arrivati a ciò? Hanno fatto un film che prende alla pancia fatto di concetti (congetture direi)...
Ripeto: è questo che fa dei fratelli-filosofi un fenomeno unico.

domenica 4 aprile 2010

CHIEDO ASILO

Quante rivoluzioni?

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Sento spesso parlare di lotta, di fughe. Chiedere asilo. Rifugiarsi nel mondo dei bambini dove tutto ha una logica particolare. Dove tutto è vero. Non ci sono convenzioni. Da ex rivoluzionario (apprendista, come tutti) ci si ritrova in una delle possibili utopie e ci si sta dentro. Forse stretti. Perché nel nostro cervello la rivoluzione non c’è stata. Nel nostro corpo la rivoluzione è passata così. Ce ne siamo dimenticati e ce ne dimentichiamo continuamente. Ma i bambini no, non sono ancora educati, non sono ancora marci. E non è la retorica del bambino essere puro, no. E’ che noi impariamo a marcire, ci abituiamo a tutto, lo condividiamo e lo sottoscriviamo. (Sotto la minaccia della polvere da sparo). Se un mondo ideale non esiste perché tutti ce lo abbiamo stampato nel cervello? Se è il migliore dei mondi possibili, perché?

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mercoledì 31 marzo 2010

SANNO COME TRATTARTI

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Attaccato alla terra. Radicato. 
Sprofondante, talmente è pesante.
E’ un corpo greve. E’ un unirsi alla profondità. 
Un rimettersi in gioco.
Lasciarsi andare. 
Vivere tra le nuvole, aspirare al cielo.
Come petali di fiori. 
Cercare la luce, sentire più forte l’aria. Averne la necessità.
Sono le due direzioni  che da sempre tutto riguardano.
Aldilà della metafora funzionano ancora, e completamente.
La pesantezza e la lentezza. 
La fatica, lo sforzo, l’eccesso.

domenica 28 marzo 2010

giovedì 11 marzo 2010

giovedì 25 febbraio 2010

















E' il problema del dualismo.
Destra-sinistra, mora-bionda, cioccolata o crema, sopra-sotto...
Funziona così, lo Stato è un potere, come la Mafia è un potere.
E nel nostro stato i poterei sono "FORZE" e le forze coesistono in un un sistema di pesi e di misure...
Secondo questo delicato meccanismo gli equilibri si tengono solo e se tutti i piombini stanno messi al posto giusto, nel momento giusto. Se aggiungiamo, dobbiamo togliere. Se sottraiamo dobbiamo riempire.


(Se sparano chiudiamo gli occhi).
 
L'errore del cadere nel pensiero dualistico che porta ad una logica che ha ai due estremi il bene ed il male è da sempre indotto artificiosamente. Mi spiego meglio: quell'apparentemente naturale esigenza a separare in bello dal brutto, il buono dal marcio è in effetti un meccanismo che serve al potere per autoalimentarsi.
Scommetto che lo sappiamo tutti.
Purtuttavia, cadiamo sempre e incessantemente nell'errore di quel meccanismo. Senza accorgercene nemmeno.
E separiamo, separiamo, separiamo...

la mora e la bionda, fascisti e comunisti, uomini e donne, amici e nemici, De filippi e Costanzo, Coppi e Bartali, Don Camillo e Peppone, Stanlio e Olio, Totò e Peppino, Nadal e Federer, Maradona e Pelè...
Il fatto è che gli equilibri sono parzialmente variabili. In che senso? Allo spostarsi del peso si sposta tutto il meccanismo che pur mantenendo lo stesso assetto cambia di posizione. Che ci sia questa possibilità è un bene assoluto, anche se è molto meno di quello che l'uomo da sempre spera.

Assurdamente (ma è una questione di pesi non ce lo dimentichiamo) maggiore è lo sforzo nel cambiamento (desiderato perlomeno) minore è il risultato. Questo perchè se aggiungi peso tu, aggiunge peso anche il potere (e quello di piombini ne ha, ne ha...capisci a me?)...Quindi dovresti sottrarre, alleggerire, un poco come Dorothy per tornarsene nel Kansas.
Gli equilibri hanno variabili sociali e geografiche, ad esempio in Svezia si raggiunge lo stesso equilibrio ma con i piombini sistemati in modo diverso. Nei paesi africani devono mettere tantissima merda, munnezza, fame, morte, malattia e sofferenza (che nel sistema di cui parlo fanno peso assai anche le cose immateriali) per equilibrare tutti i piombini che hanno dall'altra parte...
Ma dove voglio arrivare? Ecco. Che è strano che noi ci stupiamo di questo gioco delle parti...Che probabilmnte non "dandoci peso" (o almeno il peso che al potere serve per controbilanciarsi) otterremmo effetti devastanti.
Ti dirai: ma che dici di nuovo?? Niente, perchè credo che ogni omminicchio pensante, queste cose le sa meglio di me. Il problema è trovare la modalità di squilibrio (momentaneo) perchè anche se tutti sanno quello che sto dicendo adottano sistemi e vivono in prospettive sorpassate, inutili ed antiproduttive (anche se servono comunque a far peso, guai se non esistessero)...
A volte penso che sia questo il senso della famosa proposizione: questo è il migliore dei mondi possibili...
E' difficilissimo trovare dei modi nuovi di spostamento del peso in quanto gli uomini sembrano imbambolati in un moto perpetuo che varia solo se eventi non coscienti mutano il loro assestamento. Penso a Grillo che ha detto una banalità che è assolutamente reale: ci vuole una catastrofe per salvare l'umanità. Non so se è cosciente di quello che ha detto ma nel sistema dei pesi e delle misure è esattamente azzeccato.
Ora dovrei continuare parlando di come nel nostro Sud gli assestamenti sono devastati. Come mai ci hanno messo Mafia, Camorra, Nrangheta, Sacra Corona (e l'hanno pure Unita)? Come mai ci hanno sversato Diomancosacosa?...
Come mai pur essendo schiavo da secoli il Sud ha partecipato minimamente (come popolo) ai diversi moti, liberazione compresa???E solo una questione di pesi.

 
Adesso, se qualcuno leggesse questo mio commento userebbe per me qualche aggettivo che finisce con -ista o qualche altra parola che finisce con con -ioso (anche con -ione, ma quella è un'altra storia)...
Bene, mi aiuterebbe a spiegarmi meglio.
Le parole con suffisso -ista o -ioso fanno parte del sistema dei pesi. Introdotte dalla FORZA per mantenere l'equilibrio ed utilizzate non solo dal Potere, anzi, spesso da tutti contemporaneamente. Servono per bloccare, per cessare sul nascere qualsiasi discorso che tenda a togliere piuttosto che ad appesantire...

venerdì 19 febbraio 2010

META' DELLA VITA DI FRIEDRICH HOLDERLIN

Con gialle pere pende e folta di rose selvatiche
la campagna sul lago.
O cigni soavi ed ebbri di baci
tuffate il capo
nella sacra sobrieta' dell'acqua.
Ahime', dove li prendero' io
quando e' l'inverno, i fiori
e dove il sole,
l'aura leggera della terra?
Le mura si levano mute
e fredde, nel vento
stridono le banderuole.


IL CANTO DEL DESTINO DI FRIEDRICH HOLDERLIN

Voi che lassù vi aggirate nella luce
sul soffice suolo, o beate divinità!
Rilucenti, divini aliti
lievemente vi sfiorano,
come dita d'artista
le sacre corde.
Indifferenti al fato, come addormentati
poppanti, respirano gli abitatori del cielo;
castamente custodito
in piccola gemma
fiorisce per sempre
per loro lo spirito,
e gli occhi, beati,
guardano nel calmo
eterno chiarore.


IL MAGICO MONDO DEI FRATELLI QUAY

RICHARD KERN PHOTOGRAPHER

mercoledì 17 febbraio 2010

ARTE



Io non gufavo per l'accapipgliamento, tranquillo.
La tua analisi (anche se la ritengo qualunquista) mi sta bene. Lo avevo già detto, si rischia di andare verso un soggettivismo estremo che porta a conseguenza ridicole.
Faccio un esempio. Tu, altrove avevi scritto: lasciati andare all'ascolto, o alla visione, se il tuo organismo rilascia endorfine, allora significa che quello che stai vedendo\ ascoltando è bello, è arte.
Capirai rileggendoti (nella mia trascrizione, non ho fatto copia-incolla, possono esserci differenze sostanziali) che il pericolo c'è. 
Ed è grande.
Vuol dire che se ascolto Eros Ramazzotti e rilascio endorfine allora quello è un artista. (Ho fatto un esempio a caso, non si offendano i ramazzottiani)...
E allora?? Chi piace a più gente e fa rialsciare più endorfine è un grandissimo artista, mentre chi non fa questo effetto è un coglione?

Sappiamo che non è così. O, almeno facciamo finta di saperlo.
Ma perchè non è così?
E se sbagliassimo noi?
A quel punto non esisterebbe l'arte. Ma solo delle forme espressive che funzionano o non funzionano soltanto se incontrano o non incontrano, l'esperienza esistenziale del fruitore.

Ora passiamo all'altra sponda, i tecnicisti.
Ci sono dei parametri per stabilire se una cosa è bella, è arte oppure no??

Vediamo a che porta questo.
Si creano scale di valori entro le quali dare giudizi tecnici. Un poco come nelle gare di pattinaggio artistico o di ginnastica.
Ma c'è un problema anche qui. Chi "sceglie" quei valori? Chi li fissa?

Ad esempio, chi dice che una voce con determinate caratteristiche è BUONA mentre un'altra voce non lo è?

Lasciamo stare poi tutte le implicazioni che escono dal soggettivismo stretto e sfociano nell'antropologia, nell'etnocentrismo, nella cultura dominante e nei mezzi che modificano i gusti ed inducono lo
spettatore\ascoltatore\fruitore
verso alcuni lidi e non verso altri.

Arrivo al dunque, che poi non è un dunque, anzi, è uno spazio metafisico che
non ha se e non ha ma.

Il giusto sta nel mezzo, anzi no, non mi piace questa deriva moderata. La mia è una deriva estrema.

Io la vedo così: (userò una metafora). 
L'atto artistico è un atto di creazione. Creazione non come ADDIZIONE DI NUOVA MATERIA, ma come costruzione di un ponte che porta dall'umano verso una sfera superiore che sta nell'universo, non in alto, ma dentro le cose, dentro tutte le cose, dentro di noi. Una sorta di zona sacra.

Ora che succede, che a quella zona o riesci ad attingere, o non ci riesci.
E non esistono tecniche. Le tecniche servono per utilizzare gli attrezzi (pennelli, strumenti musicali, telecamere, microfoni, ect)...Ma non per fare arte. 
Non è detto che uno strumento "ben" usato sia uno strumento efficace.
Sappiammo che grandi artisti sono stati coloro che hanno DEVIATO dalle regole e dalle convenzioni. Orson Welles per i tecnicisti era un "regista pippa" perchè faceva tutto quello che non si doveva fare con una telecamera, Bacon si rifiutò di seguire le regole della pittura. Ogni grande artista è tale perchè non si è attenuto, e non perchè è stato perfettamente ligio ai canoni.

Quando Alberto richiama alla sensazione fa una cosa molto saggia e mi trova molto in linea, ma anche la sensazione è uno stato.
Anche per poter ascoltare c'è bisogno di sapersi ritirare, di cancellare tutto il marcio che ci sta dentro...
La verità è come una statua caduta nelle profondità marine. I secoli hanno creato strati sempre più complessi di detriti, di sipari che si chiudevano pazientemente attorno alla vertità.
Solo guardando in fondo a quegli abissi, ignorando la polvere e i canti delle sirene, possiamo vederla.

Spero di essere stato chiaro.
(E spero d inon esserlo affatto)...

TOKIO-GA. LA PURISSIMA VERITA'.





L'ho trovato sconvolgente. Guardavo Wenders da piccolo. E' stato il mio primo amore cinematografico. Fino alla fine del mondo credo sia stato il primo film che ho amato alla follia. Poi l'ho schifato. Ora lo rivedo per caso. Geniale Tokyo-Ga. No geniale è un termine che mi è sempre stato sui coglioni. Direi che è bellissimo.
Un diario, un diario visivo che lascia sconvolti. Una purezza che sconvolge lo stesso Wenders, troppo cervellotico a volte, questa volta riesce a fare quello che pensa e forse ci riesce stupendosi a sua volta. Forse è quella stessa Tokyo che lo annienta, che gli apre lo sguardo, che si lascia scrutare, raccontare, con una ingenuità primitiva.
E, poi, la scrittura, un commento che è pura scrittura, che è abbandono lucido. Ho sentito cose che non avevo mai immaginato si potessero inserire in un commento filmico. L'intimità dell'occhio si accosta senza nessuno spazio intermedio alla purezza della scrittura e ancora a quella della parola.
Mi sono perso tra i colori di Tokyo, tra le stramberie, la sapienza ed il rigore di un popolo che sempre mi stupisce, perché è meticoloso ed ha il senso dell'arte in ogni cosa faccia. Dagli enormi capolavori della grafica, del cinema, della scrittura fino alle cazzate più inimmaginabili. La grafica dei cibi confezionati, il design di oggetti senza alcun senso, l'arte pura della preparazione di cibi finti da esporre nelle vetrine dei ristoranti, la pornografia, le macchinette per il gioco.
C'è fottutissima arte in ogni cosa, c'è verità, c'è dolore.

sabato 13 febbraio 2010

BLU E TURCHINI

Esploriamo le resistenze delle gravità quelle dell'aria fatta per esseri pennuti e ancora belli, e poi i profondi acquitrini, più oppure meno oceanici e blu (di nuovo), dove con grosso sforzo i pesci e le altre biologie hanno curato nel tempo, gene per gene prima, e fibra a fibra poi, i loro fisiomi.

Qui con enorme consumo di energie si muovono spostando ogni volta una materia pesante, circoscritta, che avvinghia e affatica ma hanno imparato a lasciarsi andare e galleggiare in tanto spessore molecolare. E poi ancora noi, esseri saliti sulla terra, che ci appoggiamo su noi stessi ed abbiamo imparato l'equilibrio essendone però schiavi a nostra insaputa.

Avremmo dovuto strisciare o saltare o contrarci allo spasimo.



Viviamo di un continuo cadere che ci fortifica i ginocchi. Abbiamo le piaghe alle mani e le spalle lussate. La tensione che portiamo nel collo, impressa sulla faccia, lungo le pareti della schiena, lungo i lati della lingua, prima o poi ci farà scoppiare.



Non riconoscersi in nulla, solo in certe piante e a volte in qualche casa dalle finestre socchiuse, ed altre volte nei cani coi quali ci spiace non poter condividere l'idioma. Parlare talmente tanto non per svuotarsi o anzi, sì per svuotarsi da perderla definitivamente questa parola.

La parola è limite, gli uomini sono gli esseri più limitati dell'intero mondo dei viventi.

IMMAGINO COSI'

MARILYN OF PAOLI GIOLI





venerdì 12 febbraio 2010

ROBERT WYATT. ALIFIB, UN VIAGGIO VERSO IL CENTRO.

Ecco. Iniziamo.




Forse avrei dovuto chiamare questo blog Alifib.
Ma sono arrivato tardi.
Alifib è un regalo stupendo che Wyatt ha fatto all'umanità. Un grido, che arriva nelle profondità più nascoste dell'anima.
Volare, mi sembra di volare, di cadere, sfiorare la terra, le fronde, l'acqua, il grano. Mi sento sciogliere, lacrimare, annegare, respirare. C'erano dei poveri uomini in un film russo poco noto, una pellicola stupenda di Artur Aristakisjan, uomini che vivevano in una comune moscovita. Erano dei barboni, dei relitti umani, che soffrivano come i cani. Tra loro c'era amore, c'era sesso, ma c'era soprattutto dolore. E c'era sofferenza.
Ad un certo punto un uomo, portato a braccia, da diversi individui, viene posato delicatamente su un lettino di legno e lui pratica l'autocastrazione.
Questa visione estrema, piena di pathos, in un bianco e nero sconvolgente, era raccontato dalla voce dolce e sensuale di Wyatt, una voce d'angelo che cantava le maledizioni della terra. Un canto insensato, una filastrocca metafisica che cerca di comunicare quello che non si può comunicare a parole che abbiano un qualsiasi senso...