domenica 15 aprile 2012
NECESSITÀ
Si associa in modo assolutamente arbitrario ai bambini la spontaneità. Non è esattamente così.
Non lo è perchè chiamati al compito si dimostrano estremamente non-spontanei, a-spontanei direi.
Perdono completamente ogni minima pulsione naturale non appena si chiede loro di fare una qualsiasi cosa.
Ho provato a chiedere ad alcuni bambini "giocate". Ovviamente non sono riusciti.
Non sono riusciti perchè il contesto era un contesto chiuso e specifico.
A quel punto il loro mondo interno non ha avuto le condizioni di funzionare.
Altre volte ho assistito a momenti di folle spontaneità esibita senza pudore a due passi da me.
Non avendo esplicitato però il mio desiderio di "vedere", tutto ha funzionato a meraviglia.
Direi che i piccoli soffrono di affettazione almeno quanto gli adulti. Forse di più.
C'è il maledetto ateggiamento di ritenere necessario il rifugio in uno stereotipo espressivo.
Questo vale fortissimamente per i bambini, che, al momento dell'attenzione catapultata su loro, si vedono stretti in una necessità performativa che li porta ad inscriversi immediatamente in un modello riconosciuto. Un modello che li rassicura.
Paradossalmente, avendo meno modelli di riferimento, risultano più stereotipati di quanto possa esserlo un adulto (che almeno si rifà ad un numero di canoni maggiore).
Sto riflettendo sulla strada da percorrere affinchè i bambini vengano condotti a cercare una emozione in se stessi, anzi, nell'emozione stessa, senza sentire l'esigenza dell'immedesimazione (che non è mai un entrare dentro l'emozione, ma è sempre il tentativo, dettato dalla paura,
di riprodurre una fiacca immagine di quell' emozione).
Sicuramente il lavoro sul corpo potrebbe agevolare questa ricerca. Il bambino deve per prima cosa sentire il corpo. Deve imparare a definire il contesto nel quale si muove. Riflettere sul suo movimento. Solo in questo modo potrà staccarsi dagli automatismi.
Dovrebbe sentire il corpo allo stesso modo di quando gioca. Il momento del gioco è l'apice della sua spontaneità, ma è una spettacolarizzazione inconsapevole del suo mondo emotivo. Non rendendosi conto di essere
Sembra asurdo ma la forte consapevolezza del proprio corpo porta ad un allontanamento dal tentativo immedesimativo e, di conseguenza, ad una astrazione dal reale. Il corpo diventa talmente reale da funzionare come meccanismo a se stante.
Solo quando il corpo e la voce bel bambino diventano oggetti meccanici possono iniziare a cercare una emozione. Diventano appunto giocattoli manovrati da una coscienza esterna.
E' il bambino che gioca con il suo stesso corpo, con la sua stessa voce.
Questo procedimento va poi esteso alla percezione extracorporea. All'oggetto.
Ma questo è un passo successivo.
domenica 27 febbraio 2011
IDONEO
Karl Hartwig Kaltner |
Sarebbe già troppo chiamarli creativi.
Creativo. Che parola del cazzo.
Come se la creazione fosse un simpatico impiego.
Queste persone non dovrebbero nemmeno pronunciarla la parola ARTE.
Ché tutti cercano di sminuirla, di ridurla ad un sistema di scambio. L'arte ha una funzione. E' come la fede o, meglio, come la sacralità. Non puoi cambiargli la funzione, non puoi storicizzarla. Non puoi dire: l'arte di un tempo, l'arte di oggi. Cambiano le forme, cambiano i contesti ma non può cambiare la funzione. Non può cambiare l'essenza.
Associare l'arte agli artistucoli che oggi beccano come le galline nelle gallerie elemosinando senza alcuna dignità una qualsiasi possibilita, è come associare il sacro alla chiesa.
Come la chiesa, questa congrega dell'arte decide cosa è giusto, chi va in paradiso, quindi chi è buono o cattivo.
I buoni frequentatori hanno ritorno sociale, i cattivi invece sono scacciati...
E' la stessa cosa, le gallerie sono le moderne parrocchie, i musei sono le cattedrali, i preti i vescovi e i cardinali sono i vari galleristi, curatori, professori d'accademia...
Che tristezza.
In natura se una cosa cambia la sua funzione scompare. Se si modifica lo fa solo per riuscire ad assolvere ancora quella funzione originaria...
L'arte è creazione. L'arte modifica e conosce (svela) il mondo. Lo migliora o lo smaschera (migliorandolo). L'artista è colui che accede a pezzi linguaggio ancora (fino a quel momento) indecifrati, colui che si abbassa sotto l'umano. E chi vuole farci credere altro è solo un impostore.
mercoledì 16 febbraio 2011
DENTRO
Il centro della mia ricerca adesso è il ritrovamento della spontaneità.
Si associa in modo assolutamente arbitrario ai bambini la spontaneità. Non è esattamente così.
Non lo è perchè chiamati al compito si dimostrano estremamente non-spontanei, a-spontanei direi.
Perdono completamente ogni minima pulsione naturale non appena si chiede loro di fare una qualsiasi cosa.
Ho provato a chiedere ad alcuni bambini "giocate". Ovviamente non sono riusciti.
Non sono riusciti perchè il contesto era un contesto chiuso e specifico.
A quel punto il loro mondo interno non ha avuto le condizioni di funzionare.
Altre volte ho assistito a momenti di folle spontaneità esibita senza pudore a due passi da me.
Non avendo esplicitato però il mio desiderio di "vedere", tutto ha funzionato a meraviglia.
Direi che i piccoli soffrono di affettazione almeno quanto gli adulti. Forse di più.
C'è il maledetto ateggiamento di ritenere necessario il rifugio in uno stereotipo espressivo.
Questo vale fortissimamente per i bambini, che, al momento dell'attenzione catapultata su loro, si vedono stretti in una necessità performativa che li porta ad inscriversi immediatamente in un modello riconosciuto. Un modello che li rassicura.
Paradossalmente, avendo meno modelli di riferimento, risultano più stereotipati di quanto possa esserlo un adulto (che almeno si rifà ad un numero di canoni maggiore).
Sto riflettendo sulla strada da percorrere affinchè i bambini vengano condotti a cercare una emozione in se stessi, anzi, nell'emozione stessa, senza sentire l'esigenza dell'immedesimazione (che non è mai un entrare dentro l'emozione, ma è sempre il tentativo, dettato dalla paura,
di riprodurre una fiacca immagine di quell' emozione).
Sicuramente il lavoro sul corpo potrebbe agevolare questa ricerca. Il bambino deve per prima cosa sentire il corpo. Deve imparare a definire il contesto nel quale si muove. Riflettere sul suo movimento. Solo in questo modo potrà staccarsi dagli automatismi.
Dovrebbe sentire il corpo allo stesso modo di quando gioca. Il momento del gioco è l'apice della sua spontaneità, ma è una spettacolarizzazione inconsapevole del suo mondo emotivo. Non rendendosi conto di essere
Sembra asurdo ma la forte consapevolezza del proprio corpo porta ad un allontanamento dal tentativo immedesimativo e, di conseguenza, ad una astrazione dal reale. Il corpo diventa talmente reale da funzionare come meccanismo a se stante.
Solo quando il corpo e la voce bel bambino diventano oggetti meccanici possono iniziare a cercare una emozione. Diventano appunto giocattoli manovrati da una coscienza esterna.
E' il bambino che gioca con il suo stesso corpo, con la sua stessa voce.
Questo procedimento va poi esteso alla percezione extracorporea. All'oggetto.
Ma questo è un passo successivo.
giovedì 11 novembre 2010
SOSPESO
Un'atmosfera che ritrovo nei libri (alcuni) di Murakami ed in tanto cinema (quello non violento) che arriva dal Giappone.
Questa intimità mi piace, mi fa affondare in un liquido caldo ed allo stesso tempo mi mette sull'attenti. Una sensazione davvero forte.
sabato 4 settembre 2010
NO, NON ORA, NON QUI
Insopportabile.
venerdì 3 settembre 2010
UNO, NESSUNO. NESSUNO.
domenica 4 aprile 2010
CHIEDO ASILO
Quante rivoluzioni?
Sento spesso parlare di lotta, di fughe. Chiedere asilo. Rifugiarsi nel mondo dei bambini dove tutto ha una logica particolare. Dove tutto è vero. Non ci sono convenzioni. Da ex rivoluzionario (apprendista, come tutti) ci si ritrova in una delle possibili utopie e ci si sta dentro. Forse stretti. Perché nel nostro cervello la rivoluzione non c’è stata. Nel nostro corpo la rivoluzione è passata così. Ce ne siamo dimenticati e ce ne dimentichiamo continuamente. Ma i bambini no, non sono ancora educati, non sono ancora marci. E non è la retorica del bambino essere puro, no. E’ che noi impariamo a marcire, ci abituiamo a tutto, lo condividiamo e lo sottoscriviamo. (Sotto la minaccia della polvere da sparo). Se un mondo ideale non esiste perché tutti ce lo abbiamo stampato nel cervello? Se è il migliore dei mondi possibili, perché?
mercoledì 31 marzo 2010
SANNO COME TRATTARTI
domenica 28 marzo 2010
giovedì 11 marzo 2010
giovedì 25 febbraio 2010
E' il problema del dualismo.
Destra-sinistra, mora-bionda, cioccolata o crema, sopra-sotto...
Funziona così, lo Stato è un potere, come la Mafia è un potere.
E nel nostro stato i poterei sono "FORZE" e le forze coesistono in un un sistema di pesi e di misure...
Secondo questo delicato meccanismo gli equilibri si tengono solo e se tutti i piombini stanno messi al posto giusto, nel momento giusto. Se aggiungiamo, dobbiamo togliere. Se sottraiamo dobbiamo riempire.
(Se sparano chiudiamo gli occhi).
L'errore del cadere nel pensiero dualistico che porta ad una logica che ha ai due estremi il bene ed il male è da sempre indotto artificiosamente. Mi spiego meglio: quell'apparentemente naturale esigenza a separare in bello dal brutto, il buono dal marcio è in effetti un meccanismo che serve al potere per autoalimentarsi.
Scommetto che lo sappiamo tutti.
Purtuttavia, cadiamo sempre e incessantemente nell'errore di quel meccanismo. Senza accorgercene nemmeno.
E separiamo, separiamo, separiamo...
la mora e la bionda, fascisti e comunisti, uomini e donne, amici e nemici, De filippi e Costanzo, Coppi e Bartali, Don Camillo e Peppone, Stanlio e Olio, Totò e Peppino, Nadal e Federer, Maradona e Pelè...
Il fatto è che gli equilibri sono parzialmente variabili. In che senso? Allo spostarsi del peso si sposta tutto il meccanismo che pur mantenendo lo stesso assetto cambia di posizione. Che ci sia questa possibilità è un bene assoluto, anche se è molto meno di quello che l'uomo da sempre spera.
Assurdamente (ma è una questione di pesi non ce lo dimentichiamo) maggiore è lo sforzo nel cambiamento (desiderato perlomeno) minore è il risultato. Questo perchè se aggiungi peso tu, aggiunge peso anche il potere (e quello di piombini ne ha, ne ha...capisci a me?)...Quindi dovresti sottrarre, alleggerire, un poco come Dorothy per tornarsene nel Kansas.
Gli equilibri hanno variabili sociali e geografiche, ad esempio in Svezia si raggiunge lo stesso equilibrio ma con i piombini sistemati in modo diverso. Nei paesi africani devono mettere tantissima merda, munnezza, fame, morte, malattia e sofferenza (che nel sistema di cui parlo fanno peso assai anche le cose immateriali) per equilibrare tutti i piombini che hanno dall'altra parte...
Ma dove voglio arrivare? Ecco. Che è strano che noi ci stupiamo di questo gioco delle parti...Che probabilmnte non "dandoci peso" (o almeno il peso che al potere serve per controbilanciarsi) otterremmo effetti devastanti.
Ti dirai: ma che dici di nuovo?? Niente, perchè credo che ogni omminicchio pensante, queste cose le sa meglio di me. Il problema è trovare la modalità di squilibrio (momentaneo) perchè anche se tutti sanno quello che sto dicendo adottano sistemi e vivono in prospettive sorpassate, inutili ed antiproduttive (anche se servono comunque a far peso, guai se non esistessero)...
A volte penso che sia questo il senso della famosa proposizione: questo è il migliore dei mondi possibili...
E' difficilissimo trovare dei modi nuovi di spostamento del peso in quanto gli uomini sembrano imbambolati in un moto perpetuo che varia solo se eventi non coscienti mutano il loro assestamento. Penso a Grillo che ha detto una banalità che è assolutamente reale: ci vuole una catastrofe per salvare l'umanità. Non so se è cosciente di quello che ha detto ma nel sistema dei pesi e delle misure è esattamente azzeccato.
Ora dovrei continuare parlando di come nel nostro Sud gli assestamenti sono devastati. Come mai ci hanno messo Mafia, Camorra, Nrangheta, Sacra Corona (e l'hanno pure Unita)? Come mai ci hanno sversato Diomancosacosa?...
Come mai pur essendo schiavo da secoli il Sud ha partecipato minimamente (come popolo) ai diversi moti, liberazione compresa???E solo una questione di pesi.
Adesso, se qualcuno leggesse questo mio commento userebbe per me qualche aggettivo che finisce con -ista o qualche altra parola che finisce con con -ioso (anche con -ione, ma quella è un'altra storia)...
Bene, mi aiuterebbe a spiegarmi meglio.
Le parole con suffisso -ista o -ioso fanno parte del sistema dei pesi. Introdotte dalla FORZA per mantenere l'equilibrio ed utilizzate non solo dal Potere, anzi, spesso da tutti contemporaneamente. Servono per bloccare, per cessare sul nascere qualsiasi discorso che tenda a togliere piuttosto che ad appesantire...
venerdì 19 febbraio 2010
META' DELLA VITA DI FRIEDRICH HOLDERLIN
la campagna sul lago.
O cigni soavi ed ebbri di baci
tuffate il capo
nella sacra sobrieta' dell'acqua.
Ahime', dove li prendero' io
quando e' l'inverno, i fiori
e dove il sole,
l'aura leggera della terra?
Le mura si levano mute
e fredde, nel vento
stridono le banderuole.
IL CANTO DEL DESTINO DI FRIEDRICH HOLDERLIN
sul soffice suolo, o beate divinità!
Rilucenti, divini aliti
lievemente vi sfiorano,
come dita d'artista
le sacre corde.
Indifferenti al fato, come addormentati
poppanti, respirano gli abitatori del cielo;
castamente custodito
in piccola gemma
fiorisce per sempre
per loro lo spirito,
e gli occhi, beati,
guardano nel calmo
eterno chiarore.
mercoledì 17 febbraio 2010
ARTE
TOKIO-GA. LA PURISSIMA VERITA'.
L'ho trovato sconvolgente. Guardavo Wenders da piccolo. E' stato il mio primo amore cinematografico. Fino alla fine del mondo credo sia stato il primo film che ho amato alla follia. Poi l'ho schifato. Ora lo rivedo per caso. Geniale Tokyo-Ga. No geniale è un termine che mi è sempre stato sui coglioni. Direi che è bellissimo.
Un diario, un diario visivo che lascia sconvolti. Una purezza che sconvolge lo stesso Wenders, troppo cervellotico a volte, questa volta riesce a fare quello che pensa e forse ci riesce stupendosi a sua volta. Forse è quella stessa Tokyo che lo annienta, che gli apre lo sguardo, che si lascia scrutare, raccontare, con una ingenuità primitiva.
E, poi, la scrittura, un commento che è pura scrittura, che è abbandono lucido. Ho sentito cose che non avevo mai immaginato si potessero inserire in un commento filmico. L'intimità dell'occhio si accosta senza nessuno spazio intermedio alla purezza della scrittura e ancora a quella della parola.
Mi sono perso tra i colori di Tokyo, tra le stramberie, la sapienza ed il rigore di un popolo che sempre mi stupisce, perché è meticoloso ed ha il senso dell'arte in ogni cosa faccia. Dagli enormi capolavori della grafica, del cinema, della scrittura fino alle cazzate più inimmaginabili. La grafica dei cibi confezionati, il design di oggetti senza alcun senso, l'arte pura della preparazione di cibi finti da esporre nelle vetrine dei ristoranti, la pornografia, le macchinette per il gioco.
C'è fottutissima arte in ogni cosa, c'è verità, c'è dolore.
domenica 14 febbraio 2010
sabato 13 febbraio 2010
BLU E TURCHINI
Qui con enorme consumo di energie si muovono spostando ogni volta una materia pesante, circoscritta, che avvinghia e affatica ma hanno imparato a lasciarsi andare e galleggiare in tanto spessore molecolare. E poi ancora noi, esseri saliti sulla terra, che ci appoggiamo su noi stessi ed abbiamo imparato l'equilibrio essendone però schiavi a nostra insaputa.
Avremmo dovuto strisciare o saltare o contrarci allo spasimo.
Viviamo di un continuo cadere che ci fortifica i ginocchi. Abbiamo le piaghe alle mani e le spalle lussate. La tensione che portiamo nel collo, impressa sulla faccia, lungo le pareti della schiena, lungo i lati della lingua, prima o poi ci farà scoppiare.
Non riconoscersi in nulla, solo in certe piante e a volte in qualche casa dalle finestre socchiuse, ed altre volte nei cani coi quali ci spiace non poter condividere l'idioma. Parlare talmente tanto non per svuotarsi o anzi, sì per svuotarsi da perderla definitivamente questa parola.
La parola è limite, gli uomini sono gli esseri più limitati dell'intero mondo dei viventi.
venerdì 12 febbraio 2010
ROBERT WYATT. ALIFIB, UN VIAGGIO VERSO IL CENTRO.
Forse avrei dovuto chiamare questo blog Alifib.
Ma sono arrivato tardi.
Alifib è un regalo stupendo che Wyatt ha fatto all'umanità. Un grido, che arriva nelle profondità più nascoste dell'anima.
Volare, mi sembra di volare, di cadere, sfiorare la terra, le fronde, l'acqua, il grano. Mi sento sciogliere, lacrimare, annegare, respirare. C'erano dei poveri uomini in un film russo poco noto, una pellicola stupenda di Artur Aristakisjan, uomini che vivevano in una comune moscovita. Erano dei barboni, dei relitti umani, che soffrivano come i cani. Tra loro c'era amore, c'era sesso, ma c'era soprattutto dolore. E c'era sofferenza.
Ad un certo punto un uomo, portato a braccia, da diversi individui, viene posato delicatamente su un lettino di legno e lui pratica l'autocastrazione.
Questa visione estrema, piena di pathos, in un bianco e nero sconvolgente, era raccontato dalla voce dolce e sensuale di Wyatt, una voce d'angelo che cantava le maledizioni della terra. Un canto insensato, una filastrocca metafisica che cerca di comunicare quello che non si può comunicare a parole che abbiano un qualsiasi senso...